Perché Luca Carboni secondo me “merita”!

di Luigi Casalatina

Ricordo ancora con estrema precisione (ah, tempo che passi!) la prima volta che in qualche modo ho “avuto a che fare” con Luca Carboni. Era il 1984 e alla radio passavano una canzone carina che diceva “ci stiamo sbagliando ragazzi…rio ario..ario”. Fui subito attirato da quel modo strascicato, sussurrato di cantare. Mi ricordava un po’ Vasco Rossi, del quale ero già (precoce) accanito fan.
Quando nel 1985 risentì quella voce roca e gentile cantare “sarà un uomo” mi decisi. Comprai il mio primo disco di Luca Carboni. Era “Forever”, chiaramente. Da allora non l’ho più “abbandonato”, anzi Luca rientra tra i pochissimi artisti di cui compro i dischi a “scatola chiusa”, senza ascoltarne preventivamente niente. Sono sicuro che non mi deluderà.

Cosa mi piace di Luca Carboni? Tante cose.
Per iniziare, la sua capacità di dipingere quadri con le parole. Man mano che la canzone procede riesci a raffigurare davanti a te una situazione, una scenografia, riesci a dare contorni e colori a quanto stai ascoltando. Prendiamo “Le case d’inverno” (Persone silenziose, 1989): “c’è una luce giallognola e amara che si accende ogni pomeriggio sulla testa di una madre che stira, che stira anche questo inverno. C’è una luce accesa ogni pomeriggio nella cucina delle case d’inverno io da piccolo dovevo scappare per non sentire la malinconia”. Ebbene, ogni volta che ascolto questa (grande) canzone, davanti a me riappaiono magicamente quei pomeriggi d’inverno in cui mia madre stirava in una cucina illuminata da una luce fredda e artificiale, mentre fuori dalla finestra tutto era grigio e triste. Riesco, con un po’ di sforzo, a risentire persino gli odori delle cose da mangiare che cuocevano nei fornelli.
Ma Luca Carboni mi piace anche per la sensibilità che ha sempre dimostrato nelle sue poesie. Per restare alla canzone di prima, “Le case d’inverno”, alla fine del pezzo dice:”c’è una luce giallognola e amara, che si accende dentro al mio cuore, e adesso a volte mi sorprendo a cercare quella malinconia”. Ed è vero, le cose che in passato potevano darti tristezza, con il tempo vengono ricercate, si vorrebbero indietro anche per un solo istante, un istante di malinconia. Un altro esempio? Prendete “Gli autobus di notte” (Luca Carboni, 1987) in cui, con una riuscita metafora, paragona gli autobus “inutili ma generosi” che girano la città di notte a tutti gli uomini, che vogliono sentirsi vivi, sentirsi amati, sentirsi utili e che “non vorrebbero mai morire”. La descrizione degli imponenti mezzi che “vanno in giro per la città” è talmente precisa (torna la capacità di dipingere quadri con le parole) e “sentita” che davvero, alla fine, gli autobus “fanno tenerezza”, così come a Luca. Sono solo due esempi. La sensibilità di Luca Carboni viene svelata da una miriade di sue canzoni, non penso possano esserci dubbi a proposito.
Apprezzo Luca Carboni anche per la sua coerenza. Dote che ritengo estremamente preziosa, in quanto rara. Coerenza non significa, secondo il mio intendimento, non cambiare, ma piuttosto mantenere ben chiari e precisi alcuni valori, alcune “idee” e non tradirle mai, in quanto sarebbe come tradire sé stessi. Ad esempio, il modo in cui si intende vivere. Luca dice in “Continuate così” (Luca Carboni, 1987), rivolgendosi agli uccellini che continuano a cinguettare e lo svegliano presto al mattino, “voglio venire con voi, bere mangiare padrone di niente, entrare uscire dal mondo, così vestito di niente svolazzare curioso proprio in mezzo alla gente e non morire mai”. Viene espresso in maniera inequivocabile un concetto: vivere la vita per quello che è, “accontentandosi” (per modo di dire,chiaro) di essere vivi, che è quello che conta veramente, anche se svestiti, privi di ogni cosa che sia superflua. Ora, d’accordo o meno con questa way of life, non si può negare che questo concetto venga ripreso successivamente da Luca in almeno altre due canzoni. Mi riferisco alla meravigliosa “Primavera” (Persone silenziose, 1989): “E’ primavera e torna come allora una voce che dice lascia ad altri i progetti troppo lunghi arricchisci il tuo tempo e non cercare più del pane quotidiano lasciati andare alla vita e non disperarti mai”. E a “Sto perdendo tempo” (Mondo, 1995): “Sto perdendo tempo sto perdendo Dio sto perdendo la vita sto perdendo io inseguendo un sogno che non è il mio cercando di esser diverso da quel che sono io, non si può perdere l’anima stavo per vendere l’anima non si può perdere devo salvare la mia anima”. Luca sembra accorgersi di aver intrapreso una strada che lo porta verso obiettivi di vita che non sente come suoi, come veramente importanti. Sembra capire che ciò che per lui davvero conta richiede un’inversione di rotta. Detto fatto. Infatti, secondo me non è assolutamente un caso che le sue produzioni post 1995 diventino più intimistiche, più personali, che i suoi dischi siano meno pubblicizzati, meno reclamizzati. Luca sembra esser voluto uscire dal jet set, aver voluto fare un passo indietro dalla ribalta per accovacciarsi in un luogo più consono alla sua persona, appena fuori dal cono di luce dello “show”. I suoi dischi non venderanno più il milione di copie, ma le persone che lo hanno compreso sul serio sono rimaste tutte. E sono ugualmente numerose. La coerenza, anche nei comportamenti, premia.
Sono convinto che un ascolto attento del repertorio di Luca consente di individuare tantissime altre “coerenze” come quella che ho cercato di portare ad esempio. Qualcuno ha voglia di proporne altre?