Luca Carboni
è nato nel 1962. Nel 1982 per la prima volta una sua canzone, Navigando controvento,
è stata incisa ed eseguita (dagli Stadio). Nel 1992 l'album "Carboni"
ha scalato le classifiche, installandosi a lungo in vetta. Il «2» è un numero
che, cronologicamente, a Luca Carboni porta fortuna. In quest'inizio di 2002
per lui c'è un nuovo album, "Luca", e due concerti che lo riconducono
davanti al pubblico di Bologna, domani e martedì al Teatro Medica (ore 21.15):
appuntamento non rituale, concerti non formali, e carichi di emozioni.
Luca Carboni, come ha pensato questo concerto?
«L'ho pensato a contrasti. Non mi piace l'idea di creare l'isola in cui presentare
le canzoni dell'album nuovo, e poi nella seconda parte rifare le vecchie cose.
Vorrei entrare e uscire continuamente da vecchi e nuovi mondi, conservare i
contrasti degli anni, delle epoche. Ci saranno momenti in cui siederò da solo
al piano, altri momenti in cui il concerto sarà molto rock: la band ha radici
nel rock, e io stesso vengo dal rock».
Quest'anno compie 40 anni, e nella vita di una persona è il momento dei primi
bilanci. Cosa vede?
«Non mi guardo tanto indietro... Sono contento di quello che ho fatto, questo
sì: ho fatto quello che sentivo, ho sempre trovato attenzione. E non è poco.
Molti che hanno iniziato assieme a me, hanno cambiato mestiere».
Il futuro non la spaventa ...
«Non è un momento molto tranquillo. Anche dal punto musicale, non si sa se esisteranno
ancora i cd, se ci saranno ancora case discografiche... Ma io ho sempre avuto
molta fiducia nell'opera, cioè nella canzone, al di là delle mode, e del mercato.
Se scrivi qualcosa di urgente, di importante per te stesso e per gli altri,
la tua missione è compiuta. E a me sembra di avere ancora cose da dire, nei
testi e musicalmente. Io già penso al prossimo lavoro, ne ho già voglia».
Nelle sue canzoni la fiducia si mescola a un sentimento disarmato. Nella ninna
nanna a suo figlio lei dice, ad esempio, vorrei insegnarti tante cose ma forse
non le so nemmeno io...
«Se ti togli la corazza dell'adulto, e un figlio ti induce a farlo, ti rendi
conto di trovarti immerso in una situazione che padroneggi fino a un certo punto,
e nei confronti della quale, sì, ti senti disarmato. La fiducia, la speranza
è il filo che ti fa vivere, che ti fa credere, che ti dice che è importante
esserci e ti fa sentire importante».
«Stellina», l'ultima canzone del cd, suona come una preghiera.
«Lo è, è una preghiera perché il mondo creativo dell'arte e della comunicazione
siano guidati da uno spirito puro».
E nella prima canzone dice di avere bisogno «di un giorno migliore e non del
grigio che c'è qua».
«C'è qualcosa che sento peggiorato, intorno a me. Grigio è il momento storico,
grigio è accorgersi che tutti gli strumenti di progresso sono oggi strumenti
che ci imprigionano. Il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione ci rende sordi
e muti, il moltiplicarsi delle auto immobilizza, avvelena l'ambiente... È come
se fossero andati tutti fuori controllo».
In tutto questo l'amore rimane al centro del suo mondo poetico.
«Non credo che sia una fuga dalla realtà. L'amore è l'elemento per cui vivere,
è ciò che educa le persone, i figli. Ogni giorno l'amore ci fa sentire più importanti
delle cose che non ci piacciono o che ci fanno male, o della politica che sbaglia».
Le piace sempre abitare a Bologna?
«Non ne posso fare a meno. Mi sono abituato, radicato. Cambiare città a 40 anni
non è più pensabile, a meno di non esser spinto da gravi motivi. E Bologna è
una realtà molto vivace, ma rimane ai margini di meccanismi mondani e di tensione
legati al nostro lavoro. Permette maggior distacco di Roma e Milano».
Pensa anche lei che la musica italiana sia un po' fuori forma? I vecchi maestri,
anche celebrati, come Lucio Dalla, vivono momenti di crepuscolo, e non se ne
vedono di nuovi all'orizzonte.
«L'alternarsi cose buone e cose standard è inevitabile. Può capitare che artisti
che hanno dato molto, arrivino alla soglia dei 60 anni, meno intuitivi o assorbiti
dai loro viaggi. Ma non sono pessimista. Ad esempio sono emerse molte molte
presenze femminili un tempo prive di una loro autonomia creativa. Penso a Carmen
Consoli. E a me continua a piacere molto Samuele Bersani».
Ha mai pensato di mettersi alla prova su linguaggi non musicali?
«Mi piace dipingere, mi piacerebbe fare una mostra, mi piacerebbe sviluppare
alcune idee che ho in testa. Ma è presto per parlarne».