MUSICA Stasera il quarantenne cantautore bolognese al Politeama Rossetti di Trieste
Carboni, o della semplicità
Dice: «I miei brani sono condivisibili a livello generazionale»



TRIESTE «Nelle canzoni del nuovo disco spero di essere riuscito a mettere insieme tante cose: ironia, pensieri, sensazioni, brividi... E poi la stellina che vedo la sera dalla finestra della mia cucina, le cose che non mi piacciono, la voglia di ridere e il bisogno di piangere, la mia città, lo schizzo di un autoritratto. E attraverso tutto questo, magari, un piccolo pezzo della mia, anzi, della nostra storia».
La forza di Luca Carboni - il cui tour fa tappa stasera alle 21 al Politeama Rossetti - è soprattutto la forza della semplicità, della normalità. In quasi vent’anni di carriera («Intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film», suo album d’esordio, uscì nell’84), il cantautore bolognese ha sempre avuto un approccio, diciamo così, minimalista nei confronti della canzone. Niente proclami, niente slogan, niente grandi discorsi. Obbiettivo invece puntato sui sentimenti, sulle piccole cose di tutti i giorni, su quella quotidianità da cui in ultima analisi è composta la nostra vita.
«Sono sempre convinto - spiega Carboni - che le mie canzoni siano condivisibili anche a livello generazionale. Lo erano ieri, quando mi immedesimavo in un punto di vista adolescenziale. Lo sono oggi, che il punto di vista è ormai quello dell’uomo, del padre...».
Già, perchè il ragazzo che praticamente debuttò dal vivo a Trieste (il primo concerto fuori dalla sua Bologna lo tenne al Castello di San Giusto, davanti a quattro gatti entusiasti, poco dopo l’uscita del primo disco...) nel frattempo è diventato un uomo. A ottobre farà quarant’anni, si è sposato, ha un figlio di tre anni di nome Samuele...
«Me lo ricordo quel concerto triestino. Sì, gli anni passano, le cose cambiano. Ma anche in questo fatto di aver avuto un figlio relativamente tardi penso di non discostarmi da una caratteristica degli altri ex ragazzi della mia generazione: quella di restare adolescenti più a lungo dei nostri genitori, e dunque di diventare a nostra volta genitori con un po’ di ritardo».
Torniamo al disco. «Luca» ha venduto oltre 250 mila copie ed è stato a lungo in testa alle classifiche di vendite, pur non strizzando l’occhio alle mode e ai suoni del momento... «Lo considero un album - dice Carboni - abbastanza ”ribelle” nei confronti del nostro tempo. Sono undici canzoni lente, che non accelerano, una sorta di onda lunga: quasi la stessa canzone che non finisce mai. Faccio spesso l’esempio che sembra di essere nello stesso libro, in cui volti solo la pagina... Devo dire che, quando è uscito, nell’autunno scorso, mi ha sorpreso per la velocità con cui è riuscito a entrare in comunicazione con la gente».
È più facile comunicare con una chitarra che con suoni elettronici?
«Forse. Scrivendo queste nuove canzoni sentivo che dovevano avere un suono vero, non artificiale. L'obbiettivo era quello di realizzare tutto l'album utilizzando solo batteria, basso, chitarre, organo, pianoforte, voci, archi, senza usare sintetizzatori o suoni campionati. Siamo riusciti a essere rigorosi in tutte le canzoni, con l'unica eccezione dell’inizio di ”Stellina (dei cantautori)”...».
Questo tour va anche all’estero.
«Sì, siamo partiti da Trento a fine gennaio. Fino alla fine di aprile faremo oltre cinquanta concerti, oltre che in Italia anche in Germania e in Svizzera. Paesi in cui, come anche in Austria e in Belgio, i miei dischi sono pubblicati da diversi anni. E dove c’è un notevole interesse per la cultura e la musica italiana, alimentato anche dai viaggi che i ragazzi fanno nel nostro Paese e dalla ”spinta” assicurata dai figli degli emigrati italiani che si riavvicinano così alle proprie radici».
Sanremo l’ha visto?
«No, nei giorni del festival eravamo per l’appunto in Germania. Ho seguito sui giornali le polemiche su Benigni, che a mio avviso ha voluto dare un’immagine diversa di sé, indipendentemente da Ferrara. Le canzoni non le ho ancora sentite, anche se rimango della mia convinzione: i big ci vanno solo perchè così in una settimana fanno una promozione del loro nuovo disco per la quale, senza Sanremo, non basterebbero mesi interi».
Per i giovani il discorso è diverso.
«Certo. E infatti è da lì che negli ultimi anni sono venuti fuori alcuni dei maggiori protagonisti della musica italiana, alcuni dei quali ormai star anche all’estero».
Lei non è mai stato tentato di andarci?
«Per fortuna non ne ho mai avuto il bisogno. Ma ricordo quando nel ’94 doveva uscire il mio primo disco. Era l’anno del trionfale debutto di Eros Ramazzotti. La mia casa discografica non era convinta, tanto che il mio disco rimase fermo per sei mesi e poi uscì poco dopo il festival. Dopo quella volta non ci ho più pensato...».
Carlo Muscatello