Album PERSONE SILENZIOSE: Ginafranco Baldazzi

Bellissima recensione-pensiero di Gianfranco Baldazzi (pubblicista, paroliere, storico della canzone italiana e conduttore RAI italiano) sull’album PERSONE SILENZIOSE… che mette perfettamente in luce la persona di Luca, il suo modo di scrivere, la sua musica… e soprattutto… una tremenda voglia di riascoltare il disco! Ripresa dal book-spartito dell’album PERSONE SILENZIOSE.

LUCA CARBONI: “PERSONE SILENZIOSE”

“Di persone silenziose
ce ne sono eccome….
ma il silenzio fa rumore
e gli occhi hanno un amplificatore….”

Basterebbe questa canzone – e il suo spunto, bellissimo – a darci la misura umana di Luca Carboni, a farci capire perché il ventisettenne cantautore bolognese non è e non sarà una meteora nell’effimero della canzone. Basterebbero queste parole dolenti e ispirate, lontane anni luce dalla leggerezza dei discorsi che si fanno e si ascoltano in questi anni, a convincere i pochi ostinati del grosso abbaglio che avevano preso, quando, nell’inverno ’87/88, con il suo terzo album che guadagnava la cima delle hit-parades e vi si assestava per cinque mesi, parlavano del “fenomeno Carboni” come del prodotto di un’abile manipolazione promozionale.

Sono passati due anni, e forse qualcosa di più (perché viviamo nell’epoca dell’accelerazione e i nostri minuti di oggi valgono più di ieri). Sono passati due anni, settecentomila album venduti e più di cento concerti in Italia e all’estero senza che Luca, leader delle classifiche discografiche, sentisse la men che minima voglia di smettere il suo soprabito di sognatore “nonostante tutto”, la sua aspirazione ad un altro tipo di felicità, la difesa caparbia della normalità e la libertà vitale di poter continuare a cercare di mettere a fuoco il suo destino e magari quello dei suoi amici.

Anche in questo album, che è un album sorprendentemente diverso dagli altri tre – e direi anche sorprendentemente non-confezionato – lo sentiamo, prima che cantare, prima che artista, prima che poeta, “giovane uomo” in compagnia delle sue sacrosante paure e delle sue sacrosante verità. Lo sentiamo impegnato ad interrogarsi quasi con pignoleria su ciò che è bene e ciò che è male (“non credi che ci sia, no/ un uomo diverso da te/ dal mondo della sua bottega…”); lo sentiamo correre dietro alle zone d’ombra di questa nostra società dei consumi (“è solo un disco che gira dentro una stanza/ due casse che sbatton sulla libreria/ è solo un disco che gira e non è neanche in classifica…”): lo sentiamo contestare l’arroganza dei falsi maestri di vita (“tu hai una storia meno vaga di me / cominciata in un’epoca con meno comodità / non avevi il cesso in casa e te ne vanti con me / ma non è questo il punto”); lo sentiamo professarsi con infantile sincerità lusingato e disarmato di fronte ai misteri della vita (“ecco due storie che si incontrano qui / due bimbi di chissà quali cortili / padre e madre di chissà quali figli / due figli di chissà quali pensieri..”); lo sentiamo emozionarsi di fronte alla risposta ciclica degli scenari d’infanzia (“mi emoziono sentendo passare di nuovo / motorini truccati e le autoradio veloci il profumo / dei tigli mischiato ad un altro più strano….”) e partecipare e godere della gioia de “i ragazzi che si baciano sui pianerottoli della notte… imitando l’amore… inventando l’amore….”.

Voglio dire che nelle canzoni di Carboni, e in quelle di questo nuovo album soprattutto – arrangiate con intelligente misura da Bruno Mariani – c’è un mistero ammaliante che, a conoscerlo, fornirebbe forse la chiave per distinguere il vero dal falso.

Carboni è troppo artista per accettare i compromessi, troppo confusionario per essere furbo, troppo infantile per premeditare il successo. Scrive e canta canzoni. Tutto qui. E’ questo il suo segreto per conquistare i cuori. Non ha mai avuto bisogno di cercare una linea melodica compatibile perché i ragazzi lo cantino in coro. Non ha mai avuto bisogno di inseguire gli argomenti di moda, per essere inevitabilmente lui stesso la nuova moda. Scrive e canta, appunto. Ed è come se in chi l’ascolta ci fosse un meccanismo sensibilissimo che scatta solo con la sua voce, con il suo timbro di carta vetrata, con i suoi toni ora dolci ora sgarbati, con suo argomento semplice e seducente.

Il mistero, in fondo, è iscritto all’arte di comunicare. Carboni conosce l’arte di farlo con il tessuto di cui è fatta l’esistenza. E non è poco. Che ne sia consapevole o no, poco importa.

Le sue canzoni ci incantano. E in fondo ci insegnano che la vita – di un giovane uomo come tanti, che vive in una piccola città simile ad altre cento – non è mai così piccola da non contenere il mistero su cui regge il mondo.

GIANFRANCO BALDAZZI

Roma, novembre 1989